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11-1-11 "La democrazia finisce davanti ai cancelli?"

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Messaggio Da Admin Ven Gen 07, 2011 10:48 pm

Cari tutti e tutte,

data l'imminenza del referendum tra i lavoratori della FIAT e la gravità dell'accordo e delle decisioni dell'impresa, abbiamo scelto di concentrare su questo tema la nostra prossima assemblea, e di aprire su questo il nuovo anno della Fabbrica di Nichi.
Riteniamo molto grave la deriva autoritaria della FIAT di Marchionne e crediamo sia molto importante essere senza esitazioni al fianco dei lavoratori. Non solo, vogliamo una politica che sappia intervenire a difesa del lavoro e che non resti a guardare di fronte a scelte delle imprese come quelle di Mirafiori e Pomigliano.

Per discutere di tutto questo, venite numerosi all'assemblea
"La democrazia finisce davanti ai cancelli?"

martedì 11 gennaio, ore 21

alla Fabbrica delle E
Corso Trapani, 95


Nonostante i tempi strettissimi, stiamo provando a coinvolgere diversi interlocutori, sia del mondo della ricerca, sia di quello sindacale, sia di quello giuridico.

Avremo di sicuro la partecipazione della FIOM e dell'Avv. Enzo Martino (Giuristi Democratici).

La partecipazione di tutti/e è importantissima!



L'appuntamento successivo della Fabbrica sarà sabato 15, con un'intera giornata di discussione tematica sulle idee per il programma che vorremmo per Torino, all'interno del percorso sulle elezioni comunali lanciato con l'assemblea del 21 dicembre.
Per costruire la giornata del 15, stiamo raccogliendo idee e spunti tematici: anche qui il contributo di tutti è fondamentale! Se avete riflessioni o segnalazioni di temi secondo voi prioritari, scriveteci (per non intasare la mailing list, mandate le mail a [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]). Anche in coda all'assemblea dell'11, riserveremo un momento per raccogliere alcune idee sui temi di lavoro del 15.


Ci vediamo martedì!

il coordinamento della Fabbrica
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11-1-11 "La democrazia finisce davanti ai cancelli?" Empty Re: 11-1-11 "La democrazia finisce davanti ai cancelli?"

Messaggio Da Admin Lun Gen 10, 2011 1:48 pm

Discussione avvenuta via mail.
Verranno eliminati i firmatari per rispetto della privacy


Cara xxxx, a me non sembra opportuno discutere dei problemi sindacali in FIAT prima del referendum. Perchè la riunione si trasformerebbe in una manifestazione di solidarietà "a prescindere" con la sola FIOM che attraversa un momento di difficoltà e di isolamento anche all'interno della CGIL, cui cerca di reagire sostenendo che tutti quelli che non condividono la sua posizione sono dei venduti o dei "collaborazionisti", come dice la mia amica Mariangela, il che mi sembra un modo piuttosto fondamentalista di discutere con chi ha il 70% dei voti all'interno della FIAT, e pure con la segreteria generale della CGIL. Quanto al "giurista democratico" so già che ci verrà a dire che i contratti non possono riguardare dei diritti non disponibili, in forza di legge o di costituzione. Se così fosse, basta ricorrere a un giudice, le cui sentenze possono annullare qualunque "contratto leonino". E poi, la nozione di "diritti non disponibili" mi ricorda troppo i "valori non negoziabili" del clero conservatore.
Per quanto riguarda l'esclusione della rappresentanza per chi non firma i contratti aziendali, non è stata la FIAT a volerla, ma la triplice sindacale per tenere fuori i COBAS, che adesso invece sono i soli alleati della FIOM.
In conclusione, mi sembra politicamente più importante discutere dopo il referendum, per vedere se, come a Pomigliano, il voto premia chi non firma oppure no, e vedere quale è la strategia migliore per il dopo, che spero sia proiettata su scala europea.
Ma a parte i problemi sindacali, che non conosco se non per grandi numeri, mi preoccupa il futuro di Vendola, che costituisce una grossa speranza per la sinistra italiana, ma come alternativa agli intramontabili burocrati del PD, non come secondo Bertinotti: se questo è il suo (limitato) obiettivo, non mi interessa più: abbiamo già dato, e anche troppo, non vorrei aggiungerci il comune di Torino perchè "noi della sinistra alternativa non scendiamo a compromessi", e alle discussioni preferiamo i cori.


Caro xxxx,
poichè ti stimo, mi dispiace constatare la tua cecità e la tua supponenza in questa vicenda.
Invece di dire che sai già cosa dirà "il giurista democratico" vai a sentire di cosa e come parlerà. Conosco l'avv.Enzo Martino che, non solo fa parte dell'associazione "Giuristi democratici" che annovera al suo interno anche avvocati che tutelano anche le altre sigle sindacali, ma è un bravissimo giuslaburista aderente anche all'AGI Piemonte, (Associazione Giuslaburisti Italiani). Spesso dare per scontate cose che non si conoscono, come le valutazioni giuridiche dei contratti (che comportano, te lo assicuro, ore e ore di studio), può condurre all'errore.

infatti lo vado a sentire, e sarò lieto se le mie supposizioni sono sbagliate. L'errore secondo me è di fare l'assemblea prima del voto: può essere solo un momento di sostegno e propaganda per la FIOM, mentre i problemi che questo contratto pone per i prossimi anni vanno esaminati senza l'urgenza di aiutare chi rischia una sconfitta, che qualora ci fosse, va esaminata molto bene. L'autocritica non è una specialità della FIOM di Torino: aspettiamo ancora quella dei 35 giorni del 1980

rancamente non riesco a comprendere più di tanto il problema.ho ancora fiducia nella capacità delle persone di poter valutare e discernere, e credo che il confronto sia sempre positivo.
Le riserve espresse da Claudio possono esser condivise da altri, confrontate con altri.
Se le fabbriche di Nichi sono un nuovo luogo di dibattito e partecipazione, non ha senso che qualcuno presupponga e anticipi i risultati della discussione,

Credo che la risposta alla sconfita dell' 80 da parte della Fiom già è stata data (vedi il volume di Polo e Sabatini , Restaurazione italiana e quello più recente di Cremaschi, Il regime dei padroni), infatti la Fiom chiama il risultato di quella disperata lotta "Sconfitta". Chi si è rifiutata allora come oggi di fare un'analisi critica e autocritica è la CGIL, ed è stato il gruppo burocratico del PCI, con in testa Chiaramonte, che hanno rifiutato un dibattito con la FIOM e che hanno definito quella sconfitta come un onorevole compromesso.

ti dò per metà ragione e per metà torto.

Anch'io ritengo più utile parlare di Mirafiori dopo il voto, avendo chiari i risultati e potendo stabilire meglio una linea; aggiungo che PURTROPPO vedo profilarsi un SI a Marchionne. SI con la corda al collo e l'ombrello dove lo disegna Altan, per intenderci.

Hai torto quando aspetti l'autocritica del sindacato per il 1980. Fu una lotta giusta, dura perchè giusta. Con il sindacato fu sconfitta la Torino operaia e Partigiana, si aprirono le porte all'estromissione di Diego Novelli e della sinistra dal Comune, si sancì che 30.000 persone PAGATE per manifestare e ben strombazzate dalla busiarda valevano più delle giuste rivendicazioni (che dico? delle sacrosante rivendicazioni!!!) dei lavoratori. Torino di sinistra perse il coraggio: avremmo dovuto continuare, ma gli operai non ce la facevano più. Anche il morale era molto, molto al di sotto delle scarpe.


un saluto ecosolidale a tutti, in particolare a chi è nato dopo quel maledetto giorno.

ari tutti e tutte,
il fatto che sia partita questa intensa discussione in mailing list, mi convince a maggior ragione dell'importanza di vedersi e di discutere di tutto ciò martedi...

Solo due parole sul senso dell'iniziativa.

Il nostro obiettivo di martedì è innanzitutto quello di creare uno spazio di politica in cui si discuta della vicenda FIAT, avendo come punto di partenza la difesa dei diritti dei lavoratori.
Non vorremmo tanto affrontarla come questione esclusivamente sindacale, ma come una questione politica. La politica avrebbe dovuto evitare la situazione in cui ci troviamo oggi, cioè un ricatto dell'azienda ai danni dei lavoratori; questo non è avvenuto, e sarà compito in futuro della politica migliore che vogliamo costruire.
Penso che dire che si è per i diritti dei lavoratori -e non "equivicini" tra lavoratori e dirigenza- non significhi cedere a una posizione fondamentalista; non credo che sia una battaglia di retroguardia, ma sia invece una battaglia assolutamente moderna per uno sviluppo del nostro paese che non si costruisca a danno dei lavoratori. Certo, pensare questo sviluppo è una cosa che si fa con tempo e ragionamento, ma credo che nulla ci vieti di iniziare martedì, proprio per unire a questo inizio di riflessione la denuncia delle scelte autoritarie dell'impresa. Credo che questa denuncia, fatta anche da Vendola, non sia un modo per preferire "un coro a una discussione", ma una posizione ragionevole se si vogliono pensare delle relazioni indistriali in cui il lavoro sia tutelato.
Mi preme, tra l'altro, sottolineare che sulla posizione del NO al referendum, la FIOM non è affatto isolata dalla CGIL.
Come da abitudine della Fabbrica di Nichi, per prendere posizione su dei temi, costruiamo dei momenti di approfondimento e discussione, in cui provare a capire e interpretare insieme la realtà. Certo, non ci interessa limitarci a cori e slogan, e credo non interessi a nessuno dei presenti martedì. La partecipazione ampia e autentica delle persone ne è la migliore garanzia, come spero la Fabbrica abbia dimostrato finora.
Ci vediamo martedì!
Ciao a tutti
Cecilia

L'assemblea non e' mai un coro semmai e' un'insieme di voci; nel caso che ci occupa direi che se di coro si tratta e' il coro dei si' all'accordo: il nostro e' un controcanto.
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11-1-11 "La democrazia finisce davanti ai cancelli?" Empty Re: 11-1-11 "La democrazia finisce davanti ai cancelli?"

Messaggio Da Alice Cittone Lun Gen 10, 2011 7:35 pm

Domani non ci sarò, come sempre purtroppo, il martedì io non posso.
Però dall'alto della mia ignoranza permettetemi di dire che ci andrei cauta con questo appoggio cieco e fiducioso alla FIOM e questo essere totalmente contro l'accordo mirafiori .

Sinceramente io sono a favore del si, sia per non perdere una azienda che da da mangiare a Torino (perchè tutto gira intorno a mirafiori, se non tutto molto ), sia perchè non vedo nulla di così terribile nel contratto, o meglio, come mi han detto, è già stato fatto nel periodo di crisi del tessile biellese ...e tutto sto caos non era stato fatto allora. Ad ogni modo in periodo di crisi si tira la cinghia , tutti e quindi non vedo quale sia il reale problema, visto che i minimi dei vari contratti nazionali e metalmeccanici vengono garantiti.
Per quanto riguarda l'esclusione della rappresentanza in fabbrica per chi non firma l'accordo, anche qui nulla di nuovo sotto il sole, si tratta di una cosa voluta dal padrone, ma dai sindacati tempo fa quando vollero impedire la crescita dei cobas, ora c'è il rischio che venga applicata a Fiom una regola voluta anche da Fiom , non ci vedo nulla di assurdo.

Inoltre trovo utile e vantaggioso che i contratti siano trattati per stabilimenti, lo trovo un modo utile per evitare assenteismi, sviste , errori, menefreghismi vari...e da una che in famiglia ha solo macchine fiat e le ha dovute tutte riportare in fabbrica per errori di costruzione varia...be credo che valutare i contratti per stabilimento sia un ottimo modo per valorizzare chi lavora con impegno e di conseguenza svegliare chi copre un lavoro poco diligente.

Volevo dire la mia, visto che domani non potrò esserci.

Attendo con fermento il riassunto dell'incontro ribadendo un pensiero non solo mio " non sono d'accordo con lo schierarsi come fabbrica di nichi a fianco della fiom".

Saluti a tutti
Alice Cittone

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Messaggio Da Alice Cittone Gio Gen 13, 2011 8:43 pm

le altre risposte via mail .

Io non so se ci sarò stasera. Nel dubbio, vorrei rispondere brevemente (questioni di tempo) ad Alice, che ha avuto il merito di esprimere una posizione "mainstream" facendola sembrare controcorrente.

1. Il merito della proposta Marchionne.
Al netto dell'arroganza, la proposta di Marchionne è: garanzie contro garanzie. Io "garantisco" degli investimenti (in realtà abbozzo, non spiego, mi limito ad enunciare che ci saranno), in cambio però voi vi riducete i diritti (che sono molto peggio dei salari). Io credo che sia una proposta da rigettare per due motivi. Primo perché scarica la crisi solo sui dipendenti, privilegiando (come si vede da questi giorni in Piazza Affari) la speculazione azionariale abbinata allo spin-off. E secondo perché ripropone il modello competitivo che ci ha portato alla crisi attuale: pochi investimenti, la concorrenza viene fatta sul costo finale, abbassando tutte le variabili dipendenti della produzione, ivi compreso il costo del lavoro (all'interno del quale in economia viene calcolato non solo il salario, ma anche i diritti e il grado di sindacalizzazione).

2. Il referendum.
Detto questo io non credo che la Fabbrica debba schierarsi con il No al referendum (diverso da dirsi contrari all'accordo). Per due motivi. Uno per rispetto della difficoltà dei lavoratori. Il ricatto messo in campo da Marchionne colpisce particolarmente perché in questo momento perdere il lavoro vuol dire per una famiglia, specialmente se monoreddito, rischiare di scivolare verso la soglia della povertà. Due perchè a quanto ho capito non lo fa nemmeno la Fiom, che ha scelto di non dare indicazione di voto al referendum (considerandolo, giustamente, illegittimo e ricattatorio, ma credo anche per senso di realtà).

3. La Fiom.
Io credo che la posizione della Fiom sia sacrosanta, ma non perchè ami visceralmente il No o perchè pensi che non si possa fare quanto ricordava Alice (e quanto capita spesso nei periodi di crisi), cioè un patto tra capitale e lavoro in cui entrambi si riducono diritti e profitti in cambio del mantenimento della produzione. Ma oggi non siamo in quel caso. Qui Marchionne non tocca i profitti anzi li insegue, con il ricatto della delocalizzazione. E non presenta nemmeno un piano credibile di rilancio di Mirafiori. Credo, per le tante ragioni espresse fino qui, che la Fiom abbia perciò ragione e che la Fabbrica debba esprimere vicinanza con la battaglia del sindacato e dei metalmeccanici.
Detto questo, una riflessione-lampo. Non ho mai fatto sindacato, però ho sempre pensato che convenisse separare l'attività di difesa degli interessi specifici da quella generale, politica. Quindi mi tocca da vicino l'accusa, mossa dagli ambienti politici di centro e centro-destra, nonchè da Cisl e Uil, che la Fiom si sia politicizzata. Mi tocca da vicino anche perchè conosco pezzi di quel sindacato ed è tutta gente che fa effettivamente anche politica. Eppure credo che questo giudizio, nel caso-Fiat, vada del tutto rigettato: la Fiom, in quanto sindacato, in questa fase e con questa proposta, non poteva che schierarsi per il No all'accordo.

Scusate la telegraficità (!?!). A stasera (spero).



i sacrifici....i sacrifici allora li dovrebbero fare tutti e bisognerebbe cominciare da chi guadagna di più e fatica di meno : è un pensiero sempliciotto ma credo che sia valido.
inoltre, pur non essendo esperto di sindacalismo, credo che se la fiat è uscita da confindustria per fare questo contratto vuol dire che siamo di fronte a una mossa eccezionale, non a qualcosa di normale che può essere tollerato.. e poi tollerato in nome di cosa? di quale piano industriale?
quando ho sentito che vogliono fare i SUV a Mirafiori sono rimasto veramente deluso e mortificato e arrabbiato, i suv!!
se l'alternativa è una fabbrica che produce suv restringendo i dirittti sindacali oppure niente beh mi verrebbe da dire meglio niente, vorrà dire che ci si dovrà inventare nuove opportrunità e nuove fatiche ma più utili...
Nichi ha preso posizione a fianco della Fiom e penso abbia fatto bene


Ma certo che il sindacato fa politica: occuparsi dei diritti delle donne e degli uomini che lavorano e' fare politica. La politica come le femministe dicono non e' solo quella istituzionale e dei partiti ma e' tutta l'azione fatta nello spazio pubblico.
Detto questo: la delocalizzazione Marchionne questa la volta la fa a Mirafiori: i motori delle SUV arriveranno dagli USA dove le auto andranno per essere vendute. Noi saremo solo la stazione di assemblaggio e tra un po' ci diranno che e' troppo caro questo sistema. Solo che ora conviene tenerlo e poi c'e' sempre l'appeal made in Italy. Il lancio della 500 avvenne a Torino anche se la 500 la producono in Polonia.
Oltre che di diritti si parla di corpi: ma voi pensate come incide sulla sicurezza questa contrazione delle pause? Voi riuscireste a lavorare 8 ore (lavorare fisicamente) o 10 senza mangiare? O forse non e' più vero pensare che questa nuova organizzazione denega i corpi di chi lavora, denega i corpi di chi respira l'aria delle SUV e dei mezzi che prima che loro viaggino per le strade d' america ce le dovranno portare.

Io ho lavorato 23 anni in fabbrica. Certi ritmi non sono sostenibili a lungo. La gente è presa per fame. Ma l'esperienza ci dice che esiste un punto di rottura dove le persone si ribellano. Manca una politica industriale da parte del governo. Se pensiamo che addiruttura il PD dice che bisogna votare si all'accordo, ci rendiamo conto a che livelli la sinistra è arrivata. Se non capiamo che è necessaria una nuova sinistra unita da un progetto alternativo i lavoratori, gli studenti, precari ecc, non riusciranno a cambiare nulla. Dobbiamo avere la capacità di chiedere a tutti i partiti della sinistra di abbandonare i loro simbolie bandiere e costruire un soggetto unico plurale.


permettetemi di sdrammatizzare con una idea moderata allora :


1 - votare no in blocco all'accordo per Mirafiori.
2 - spedire Marchionne in Sri Lanka o chissà dove a fare le sue automobiline di plastica a costo zero.
3 - occupare all'istante la fabbrica e istituire la cooperativa a larga partecipazione 'Mirafiori' e fare le macchine migliori del mondo.

Non intendo entrare nel merito delle questioni specifiche dell’accordo (turni, pause, straordinari, ecc.) e neppure nel merito delle questioni generali (rappresentanza, piano industriale, risvolti finanziari, ecc.) poiché nella riunione di questa sera avremo modo di affrontare sia le une che le altre.

Voglio invece sottoporvi alcune semplici constatazioni.

Io ho 58 anni e dal 1975, quindi ormai da oltre 35 anni, svolgo la professione di consulente del lavoro, assistendo le aziende nella tenuta dell’amministrazione del personale.

Il mio è sicuramente un “osservatorio privilegiato”, che mi ha dato modo di conoscere profondamente la realtà delle piccole e medie imprese collocate sul nostro territorio.

A partire da questa mia esperienza vi posso garantire che sino ad oggi pressochè tutte le aziende hanno applicato ai propri dipendenti il relativo contratto collettivo nazionale.

Al riguardo alcuni chiarimenti mi paiono opportuni.

L’applicazione, sia della parte economica che della parte normativa, dei contratti collettivi nazionali non è obbligatoria per tutte le aziende, ma esclusivamente per le aziende che aderiscono ad una delle associazioni di categoria datorili firmatarie dei contratti.

Ad esempio, un’impresa del settore terziario che non aderisce a nessuna associazione di datori di lavoro non è tenuta ad applicare alcuno dei contratti collettivi stipulati per il settore terziario.

Nonostante quanto sopra, perché sino ad oggi le aziende hanno applicato ai propri dipendenti i contratti collettivi anche quando non sarebbero state tenute a farlo?

Sostanzialmente per due motivi.

La parte economica (che è quella che regolamenta la retribuzione) è stata applicata perché in caso di vertenza da parte del lavoratore sulla retribuzione percepita i giudici del lavoro per determinare la “giusta retribuzionespettante” fanno riferimento, per prassi consolidata, alle retribuzioni stabilite dai contratti collettivi.

La parte normativa (che è quella che regolamenta orario di lavoro, ferie, permessi, trattamento integrativo in caso di malattia, maternità e infortunio, ecc.) è stata, invece, applicata perché “rivendicata” dai lavoratori, che mai avrebbero accettato condizioni di lavoro inferiori a quelle previste dai contratti collettivi.

Per completezza di informazione, giova anche rammentare che in questi ultimi anni una norma di legge vincola le agevolazioni contributive previste per l’assunzione di determinati soggetti, ad esempio i disoccupati di lunga durata, all’integrale applicazione dei contratti collettivi.

Qualora passasse, come probabile, l’accordo di Mirafiori, questo quadro di riferimento è destinato a cambiare nel volgere di pochissimo tempo.

Già in questi giorni le aziende clienti del mio studio mi telefonano e mi pongono la seguente domanda: perché se la Fiat ha titolo per non applicare il contratto collettivo dobbiamo continuare ad applicarlo noi?

Domanda ovviamente legittima.

E a nulla vale ricordare alle imprese che in caso di mancata applicazione del contratto collettivo non potranno più accedere alle assunzioni agevolate, poiché in questo periodo di crisi le aziende fanno tutto (cassa integrazione, riduzioni di orario, licenziamenti) tranne che assumere.

La questione su cui riflettere è dunque, nei suoi termini brutali ma purtroppo reali, molto semplice: il sì al referendum garantirebbe una prospettiva di lavoro a circa 5.500 persone occupate a Mirafiori, oltre ad un tot di persone impiegate nell’indotto (anche se, e parlo sempre per esperienza diretta, l’indotto auto lavora ormai più per altre case che per Fiat); contestualmente però nel breve periodo il sì al referendum di Mirafiori comporterebbe un effetto “trascinamento”, che avrebbe quale risultato immediato quello di abbattere le condizioni di lavoro di milioni di lavoratori.

Questa che vi ho sinteticamente delineato è una delle tante questioni connesse alla questione Mirafiori. Credo che sia una questione non secondaria e che debba essere presa in seria considerazione quando si fanno delle valutazioni sui possibili esiti del referendum.

Un’ultima annotazione.

In 35 anni di attività non ho mai visto da parte aziendale, e sottolineo mai, una presa di posizione ricattatoria come quella assunta oggi dalla Fiat.

Personalmente penso che il sistema attuale delle relazioni industriali possa anche essere messo in discussione e riformato. Non penso però che tale processo possa essere un atto unilaterale di parte padronale. Non penso possa essere frutto di un ricatto “prendere o lasciare” come quello messo in atto da Marchionne. Penso, invece, che debba essere il risultato di un percorso “concordato”, in cui tra l’altro la politica, intendendo i partiti e il governo, dovrebbe fare la loro parte, concorrendo per arrivare a soluzioni “condivise”.


Perfettamente daccordo con te Claudio.....
Se Marx sentisse i commenti del nostro PD.......
Oh Dio mio.
Ciò che possiamo fare noi delle fabbriche e di SEL è quello di sostenere la FIOM e contribuire a formare una sinistra VERA partendo dall'unione tra studenti, precari, operai e gente comune.
Avanti così. Anche se mettendoci nei panni degli operai, sò che è una decisione difficile il loro voto, nonostante sia più simile ad un ricatto che ad una scelta, penso a quante famiglie mono reddito ci sono all'interno di Mirafiori e alla paura di non farcela ad arrivare a fine mese. Se ci fosse una sinistra più compatta, credo che tutti i sindacati e gli operai si sentirebbero più coperti e pronti ad affrontare uno scontro a muso duro con Marchionne.
Domani come Fabbriche qualcuno andrà davanti ai cancelli della FIAT per incontrare Vendola?
Un saluto a tutti.

Dimenticavo: La Fiat é morta. comunque vada il referendum. Non ha modelli nuovi per gli standard europei, e nei suoi modelli non c'è innovazione. Il SUV non è per il mercato europeo e negli USA i lavoratori a nuovo contratto costano meno di quelli italiani. Marchionne è il braccio armato di confindustria ( anche se ne è uscito) per distruggere quei pochi diritti rimasti. Non c'è futuro se non c'è innovazione in un settore dove la produzione mondiale è superiore alle richieste e soprattutto dove la crisi è più forte e i consumi calano per effetto della disoccupazione, CIG, precairetà ecc. I lavoratori del pubblico impiego hanno i salari congelati. Quindi questo referendum è una truffa.
Se passa il si comunque dovranno fare un anno di cassa integrazione e dopo diranno che non ci sono più i presupposti per andare avanti. Sono sicuro che se ci fosse stato un governo che avrebbe imposto una reale trattativa sulle strategie di FIAT, questo elemento sarebbe venuto fuori. Credo che la vecchia proposta di nazionalizzazione sia l'unica risposta seria. L'auto è un prodotto decotto, l'unica speranza sarebbe produrre modelli altamente ecologici e pensare alla produzione di veicoli per la mobilità collettiva. Ma per noi sembra fantapolitica.
Lavorare per vivere, non vivere per lavorare. !!!
Votare no è segno di dignità. Chi ha lottato nel passato sa cosa significa essere sfruttato.
Ci sono lavoratori che muoiono tutti i giorni di lavoro, e questo è indice di barbarie.

Il testo dell'accordo si può trovare su [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] (non ve lo allego perchè sono quasi 5 MB).
Per comprendere meglio tutto quello che si perde con questo nuovo accordo, vi allego i commenti al testo fatti dalla FIOM.


Anche io non entro nel merito della questione perchè non penso di averne le competenze e di non conoscere a sufficienza la realtà di fabbrica per potere dire che se fossi un operaio voterei in un modo o nell'altro.

Ritengo però che qui non si tratti di ritenere se è giusto o meno solidarizzare con la FIOM, perchè la questione è ben più ampia.

Prima di tutto la Fabbrica per il percorso che sta facendo e per i valori che sta portando avanti è giusto che abbia preso una posizione e che questa posizione sia di solidarietà con i lavoratori prima di tutto, sia che votino per il SI, sia che votino per il NO al referendum
E ciò mi pare ancor più giusto quando si leggono sulla stampa dichiarazioni come questa: Angelo, 34 anni, uno tra i meno anziani della linea: "Certo che voterò sì. Ma te lo posso dire? A malincuore. Voto sì perché non posso fare diversamente. Voto sì per difendere il mio lavoro. Tu fossi al mio posto non faresti lo stesso? Ho un figlio di 5 anni. Chi lo mantiene se qui non investono?". (Repubblica web, 11.01.2011)

Si tratta secondo me di dire con forza se è giusto che la politica e lo Stato (o più in generale gli Stati) siano del tutto assenti in questi vicende contrattuali, come lo sono state. Se è giusto che le regole democratiche e del lavoro vengano mercanteggiate da imprenditori più o meno autoritari, con queste forme di ricatto sperimentate da Marchionne...

C'è un passo di Jacques Attali (un economista consigliere di Mitterand, ma anche Presidente della Commissione sui Freni della Crescita voluta da Sarkozy), che mi ritorna in mente tutte le volte che si propongono vicende arroganti e autoritarie da parte del marcato, della finanza sulle libertà individuali...
"Gli Stati, o ciò che ne sarà rimasto intorno al 2050, saranno soltanto gli intermediari delle imprese con l'opinione pubblica. Nessuno sarà più in grado di assicurare l'uguaglianza del trattamento dei cittadini, l'imparzialità delle elezioni, la libertà delle informazioni... Questa vittoria del mercato sulla democrazia creerà una situazione praticamente inedita: un mercato senza Stato"

Ecco perchè secondo me è giusto che la Fabbrica sostenga che la politica torni a essere protagonista in queste vicende e concordo in pieno con quanto scritto da Rinaldo Locati poco sotto...

"Personalmente penso che il sistema attuale delle relazioni industriali possa anche essere messo in discussione e riformato. Non penso però che tale processo possa essere un atto unilaterale di parte padronale. Non penso possa essere frutto di un ricatto “prendere o lasciare” come quello messo in atto da Marchionne. Penso, invece, che debba essere il risultato di un percorso “concordato”, in cui tra l’altro la politica, intendendo i partiti e il governo, dovrebbe fare la loro parte, concorrendo per arrivare a soluzioni “condivise”.

la questione non deve però riguardare solo i lavoratori FIAT, visto che buona parte del lavoro dei giovani è ormai contrattato in modi ancor peggiori...

buona giornata a tutte a tutti

ecco l'articolo citato da airaudo ieri sera
grazie a tutti
è stata una serata molto illuminante!!
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Messaggio Da Alice Cittone Gio Gen 13, 2011 8:51 pm


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Messaggio Da Admin Gio Gen 13, 2011 10:34 pm

proseguo con il copia incolla dei messaggi della mailing list


I lavoratori aderenti all'UAW hanno già rinunciato a tutte le indennità e i diritti sindacali e aziendali che invece in Italia ancora sussistono. Il sindacato negli Usa ha sicuramente un peso politico diverso da quello che ha qui. Posso assicurare che non vivono in condizioni facilissime. Il sig. Marchionne cavalca l'onda delle rinunce fatte dai lavoratori americani e credo cha abbia già da parte il capitale da reinvestire all'estero, sia che i lavoratori scelgano il sì piuttosto che il no.

nb L'UAW è il sindacato USA dell'auto, di fatto, per conto dei dipendenti Chrysler, il secondo azionista FIAT


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Messaggio Da Admin Gio Gen 13, 2011 10:50 pm

è stato allegato un file che non so come allegare qui sul forum quindi ho trovato un link che ne fa il riassunto [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]





ecco il piano auto del gruppo fiat presentato in tutte le borse a fine aprile

Non sara' un caso che il piano e' stato presentato alle borse e non ai lavoratori. Forse che sia che sono più interessati al mondo ( e ripeto mondo) della finanza e non tanto al sano dialogo, che può essere anche conflittuale, capitale-lavoro? Ma davvero pensi che una SUV assemblata a Torino con motori che vengono dagli USA e portata sul mercato USA sia un piano industriale che possa reggere? Come saprete la FIAT ha venduto qualche anno fa dei terreni a COMUNE REGIONE e PROVINCIA che hanno sborsato un bel po' del nostro denaro proprio per sostenere l'azienda. La FIAT si e' accollata la spesa delle bonifiche dei terreni a cui ancora oggi non ha provveduto ( un'operazione che ammonta ad alcuni milioni di euro). Dai giornali apprendiamo che gli avvocati della Fiat e degli enti pubblici stanno discutendo.
Anche li' c'era un contratto, sempre stando alle notizie dei giornali.


caro amico,
questo mi sempra un piano indistriale poco interessante e poco innovativo, se non dal versante dei segemnti medio-alti sul mercato americano e sudamericano.
Non c'è alcun cenno all'innovazione, alla ricerca, ai biocarburanti o ai propellenti alternativi.
Marchionne ha già chiuso Termini Imerese e sono sicuro che se passerà il Sì farà poi quello che vuole di MIrafiori, anche chiuderla nel 2012.
La partita è molto più importante e ampia di quello che si crede, e prefigura una regressione delle condizioni dei lavoratori e dei rapporti fra parti sociali. L'esatto contrario di quello che è storicamente avvenuto negli ultimi decenni, dove economie e zone del mondo competitive dal punto di vista del costo del lavoro (Giappone, Corea del Sud, Taiwan), hanno poi raggiuntoi standard vicini a quelli europei per quanto riguarda costo del lavoro, condizioni di sicurezza, rispetto dell'ambiente, che sono i veri parametri di progresso ed evoluzione della società. Invece di dimnostrare ocn i fatti che la crwecita e il progerro economico e sociale porta migliori condizioni di lavoro e di vita, ci adeguiamo a peggiori condizioni di lavoro e di vita per inseguire le econonie che invece dovrebbero inseguire noi...
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11-1-11 "La democrazia finisce davanti ai cancelli?" Empty Grazie Alice, quoto tutto, c'è molto da riflettere in questi giorni, e a 360 gradi :)

Messaggio Da ambrogio merlino Gio Gen 13, 2011 10:56 pm

Alice Cittone ha scritto:Domani non ci sarò, come sempre purtroppo, il martedì io non posso.
Però dall'alto della mia ignoranza permettetemi di dire che ci andrei cauta con questo appoggio cieco e fiducioso alla FIOM e questo essere totalmente contro l'accordo mirafiori .

Sinceramente io sono a favore del si, sia per non perdere una azienda che da da mangiare a Torino (perchè tutto gira intorno a mirafiori, se non tutto molto ), sia perchè non vedo nulla di così terribile nel contratto, o meglio, come mi han detto, è già stato fatto nel periodo di crisi del tessile biellese ...e tutto sto caos non era stato fatto allora. Ad ogni modo in periodo di crisi si tira la cinghia , tutti e quindi non vedo quale sia il reale problema, visto che i minimi dei vari contratti nazionali e metalmeccanici vengono garantiti.
Per quanto riguarda l'esclusione della rappresentanza in fabbrica per chi non firma l'accordo, anche qui nulla di nuovo sotto il sole, si tratta di una cosa voluta dal padrone, ma dai sindacati tempo fa quando vollero impedire la crescita dei cobas, ora c'è il rischio che venga applicata a Fiom una regola voluta anche da Fiom , non ci vedo nulla di assurdo.

Inoltre trovo utile e vantaggioso che i contratti siano trattati per stabilimenti, lo trovo un modo utile per evitare assenteismi, sviste , errori, menefreghismi vari...e da una che in famiglia ha solo macchine fiat e le ha dovute tutte riportare in fabbrica per errori di costruzione varia...be credo che valutare i contratti per stabilimento sia un ottimo modo per valorizzare chi lavora con impegno e di conseguenza svegliare chi copre un lavoro poco diligente.

Volevo dire la mia, visto che domani non potrò esserci.

Attendo con fermento il riassunto dell'incontro ribadendo un pensiero non solo mio " non sono d'accordo con lo schierarsi come fabbrica di nichi a fianco della fiom".

Saluti a tutti
Alice Cittone

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Messaggio Da valerio peverelli Ven Gen 14, 2011 6:48 pm

Tra un'oretta sapremo com'è andata.
Nel frattempo posto un' altro articolo di giornale che, insolitamente per Repubblica (ormai troppo spesso sbilanciata), mi sembra relativamente equilibrato e interessante.


FIAT
Le ragioni di Marchionne e le ragioni di tutti

Da una parte c'è la globalizzazione dall'altra si chiama in causa la democrazia. Senza una società solidale, i singoli devono cercare risposte individuali a problemi collettivi
di EZIO MAURO

Le ragioni di Marchionne e le ragioni di tutti
DUE, TRE cose sulla Fiat e il Paese prima che si conoscano i risultati del referendum di Mirafiori. Prima, per ragionare fuori dall'orgia ideologica di chi si schiera sempre con il vincitore e di chi pensa che i canoni della modernità e del progresso - oggi - sono sanciti dal rapporto di forza.

Il voto e la sfida di Torino non disegneranno un nuovo modello di governance per l'Italia, come sperano coloro che oggi attendono da Marchionne quel che per un quindicennio ha promesso Berlusconi, senza mai mantenere. Soprattutto non daranno il via né simbolicamente né concretamente - purtroppo - ad una fase generale di crescita del Paese. Il significato della partita di Mirafiori è un altro, e va chiamato col suo nome: la ridefinizione, dopo tanti anni, del rapporto tra capitale e lavoro.

Un manager che è lui stesso transnazionale, che ha spostato il baricentro della Fiat da Torino a Detroit, ha liberato la famiglia proprietaria dal vincolo centenario con l'automobile ma anche dalla responsabilità verso il Paese, ha deciso un assemblaggio multinazionale dei prodotti che cambierà per sempre la fisionomia e la natura dell'automobile italiana, cambia a questo punto anche le regole del gioco.

Se devo vendere nel mercato globale - dice Marchionne all'operaio - devo produrre al costo e alle condizioni di quel mercato, e se in Italia le condizioni e i costi sono diversi devono adeguarsi: solo così io investirò a Mirafiori,
altrimenti andrò in Canada.

Dammi dunque il tuo lavoro secondo le mie necessità, in cambio ti darò più salario e il posto. Non c'è altro perché il posto, in tempi di crisi e di esclusione sociale, diventa la suprema garanzia e ne assorbe ogni altra. Anzi, perché l'investimento sia redditizio, ho bisogno di un controllo totale della produzione, via dunque i diritti (lo sciopero, la rappresentanza) perché sono una variabile indipendente, che rompe il modello di controllo: questo è il nuovo diritto-dovere in cui si esercita la libertà d'impresa. Le ragioni di Marchionne sono quelle della globalizzazione. Ma ci sono anche le ragioni degli altri, che sono le ragioni di tutti, perché chiamano in causa addirittura la democrazia.

Noi vediamo che in questo schema il rapporto tra capitale e lavoro si semplifica perché perde ogni cornice, si rinchiude nella fabbrica, smarrisce ogni valenza nazionale, dunque simbolica, quindi politica. Separato dai diritti, il lavoro torna ad essere semplice prestazione, merce. Ma insieme con i diritti, il lavoro diventava un elemento di dignità e di emancipazione (concetti più ampi del solo, indispensabile salario), dunque di cittadinanza, dando un senso alla Costituzione che lo pone a fondamento della Repubblica proprio per queste ragioni, intendendo in sostanza che senza libertà materiale - nel senso più largo ma anche più concreto del termine - non c'è libertà politica.

Ora, nessuna tra le parti in causa accetterebbe di definire la democrazia come un valore relativo, comprimibile in particolari condizioni davanti a specifiche esigenze. Bene. Ma vediamo oggi che alcune componenti della democrazia, cioè i diritti legati al lavoro (che sono anche i diritti dei più deboli, portatori delle maggiori disuguaglianze) possono essere comprimibili, se il mercato lo vuole, dunque diventano relativi. Soprattutto, questo non rappresenta un problema generale, ma solo dei singoli interessati, che senza più una classe di appartenenza, un partito di rappresentanza, una società con il senso del legame solidale tra i vincenti e i perdenti della globalizzazione, devono ormai cercare risposte individuali ad una questione collettiva: che non riescono più a far diventare una questione di tutti, vale a dire politica nel senso più alto del termine. Mentre le ragioni del mercato, le ragioni della produzione, vengono considerate comunemente come un problema generale, da condividere.

La vicenda si compie nella cornice spettacolare e dirimente del referendum, dove si confrontano apertamente il sì e il no. Ma qual è il grado di libertà dell'operaio di Mirafiori che va a votare (qualunque sia la sua scelta), sapendo di avere in realtà una sola risposta a disposizione, perché il no equivale alla perdita del posto di lavoro, per sé e per gli altri? Sarà anche questo un problema di democrazia sostanziale, appunto di libertà, oppure per gli operai valgono regole a parte?

Dico questo pensando che sia un grave errore non partecipare al referendum e comunque non riconoscerne l'esito, che deve essere in ogni caso vincolante per tutti, anche nelle condizioni date. Non solo: credo anche che l'urto della globalizzazione, che ci costringe a fare i conti non soltanto tra noi e gli altri (i Paesi emergenti), ma tra noi e noi, resettando regole e condizioni, non vada lasciato interamente sulle spalle dell'imprenditore. Ma c'è pure un modo per negoziare produttività, competitività, compatibilità salvaguardando nello stesso tempo i diritti legati al lavoro, semplicemente perché sono a vantaggio di tutti e dunque a carico di ciascuno, in quanto fanno parte del contesto democratico in cui viviamo, della moderna civiltà italiana ed europea.
Per questo è stupefacente l'incultura gregaria della sinistra che ha smarrito il quadrante della modernità e della conservazione, e pensa che l'innovazione sia cedere al pensiero dominante perché non ha un'idea propria del lavoro oggi, delle nuove disuguaglianze, del legame tra modernizzazione, partecipazione e solidarietà, come dice Beck, quindi la London School of Economics, non un'università marxista del secolo scorso: "Se il capitalismo globale dissolve il nucleo di valori della società del lavoro si rompe un'alleanza storica tra capitalismo, Stato sociale e democrazia", quella democrazia che è venuta al mondo in Europa proprio "come democrazia del lavoro". Cosa c'è di più innovatore e progressista che difendere questo nesso della modernità occidentale, che lega insieme l'economia di mercato, il welfare e la democrazia quotidiana che stiamo vivendo in questa parte del mondo?

Gregaria la sinistra, parassitaria la destra di governo, che usa la forza altrui esclusivamente per regolare i conti ideologici del Novecento visto che non è riuscita a saldarli per via politica, non avendone l'autorità. Ed è un puro ideologismo, non un semplice infortunio, il plauso del Capo del Governo all'idea che la Fiat debba lasciare l'Italia se dovesse perdere il referendum, punendo Torino, le famiglie operaie, l'indotto, il Paese per leso liberismo, altrui. Come se il dividendo ideologico (peraltro preso a prestito) fosse per il Capo del governo italiano più importante del lavoro, della sicurezza, del destino di una città e di un Paese.

Il vuoto della politica ha impedito di chiedere a Marchionne, mentre fissa nuove regole agli operai, di spiegare natura, rischi e potenzialità dell'investimento promesso, chiarendo anche, se il costo del lavoro pesa per il 7 per cento nel valore di un'automobile, quali sono le garanzie dell'azienda che anche tutto ciò che dà forma al restante 93 per cento si stia rimodellando in funzione delle nuove esigenze del mercato mondializzato, per riguadagnare le quote perdute di competitività: garantendo profitti e lavoro. Se la sfida è globale, riguarda appunto tutto e tutti.

Ma il vuoto della politica è più grave se si alza lo sguardo da Mirafiori e si raccorda la Fiat all'Italia. Un Paese fermo legge la sfida di Marchionne come una rivoluzione copernicana e una riforma capitale non del sistema di produzione ma delle relazioni di potere che lo governano: come se fosse possibile per la politica acquistare in outsourcing le riforme che non è capace di produrre in proprio, e gestirle senza condivisione.

La realtà è che l'innovazione berlusconiana del '94 si è accontentata della conquista del potere ed è invecchiata esercitandolo, insieme con tutti i protagonisti in campo - sempre uguali, sempre gli stessi - di maggioranza e d'opposizione. Attorno il mondo ha fatto un giro, è nata Google, è rinata al mercato la Cina: l'Italia è ferma. Guidandola, Berlusconi diventa il simbolo di un Paese bloccato, il cui immobilismo non può però certamente dipendere solo da lui. Attorno alla politica nazionale, il sistema non ha più prodotto uomini riconosciuti come quadri internazionali dalla comunità europea e mondiale, come ai tempi di Ruggiero, Prodi, Monti, Padoa Schioppa, Bonino. Tolta l'eccellenza della moda e in particolare del lusso (che non può trainare da solo l'economia di un Paese) è ferma la produttività e la competitività del sistema industriale, quindi della crescita. Ma appassisce persino la stessa vecchia scuola delle Partecipazioni Statali, declina l'università e tutto il sistema d'istruzione - vero investimento a medio e lungo termine sul futuro -, le televisioni sono diventate inguardabili salvo le nicchie di Sky e della nuova "7". L'establishment ha confermato di non esistere, accontentandosi di essere un network di autoprotezione da rotocalco, incapace di svolgere la funzione nazionale di un richiamo alle regole e ai canoni europei, ma preferendo adattarsi al modus vivendi di un Paese rimpicciolito e rattrappito, pur di staccare qualche dividendo di piccolo potere, all'ombra del potere dominante. Così, inevitabilmente, l'immagine complessiva del Paese è declinata fino a raggiungere i più ingiusti stereotipi che ci hanno sempre accompagnati: in modo che nelle cancellerie non si fa nemmeno più lo sforzo di distinguere la realtà italiana dai luoghi comuni, perché la coincidenza è più comoda, e un'Italia debole fa comodo a tanti.

Il debito pubblico, nella sua massa enorme e nell'impotenza anche culturale della politica di affrontarlo per noi e per i nostri figli, è la fotografia di questo blocco. Che rende difficile affrontare gli spiragli di ripresa che gonfiano le vele alla Germania, ma consentono alla Francia di mantenere lo status di grande Paese se non più di grande potenza, ridanno speranza all'America, cambiano con Cina, India e Brasile la geopolitica mondiale.
Si capisce che in questo quadro la Fiat sembri una soluzione, ma è l'indicazione di un problema. Stupisce, piuttosto, che in tutti gli inviti politici alla "responsabilità", alla "pacificazione", all'"emergenza" che coprono il gran mercato della compravendita di deputati (l'unico fiorente) manchi l'unico appello veramente necessario al Paese: quel "patto per la crescita" che può cambiare l'Italia e che sarà l'indispensabile piattaforma di speranza per il dopo-Berlusconi.
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