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testimonianza sulla libia

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Messaggio Da bellavita Dom Mar 20, 2011 9:33 am

La sinistra italiana nella politica internazionale ha perso la sua stella polare. Una volta bastava stare contro gli Stati Uniti e perciò a fianco di chi fosse un campione anti-imperialista, non importa cosa facesse o come governasse a casa sua. Un'altra stagione in cui era semplice da che parte stare era la lotta di indipendenza dei paesi coloniali. MPLA in Angola, FRELIMO in Mozambico, PAIGC Guinea Bissau- Capo Verde, ZANU in Zimbawe, SWAPO in Namibia o contro l'apartheid e perciò ANC in Sud Africa. Passta la fase eroica qei popoli sono stati dimenticati. Nello Zimbawe è al potere Mugabe e nelle ex colonie portoghesi il partito unico al potere è una centrale di corruzione per una casta pèolitica privilegiata, Sulla Libia si scaricano antiche contradddizioni non risolte: Gheddafi era uno dei campioni dell'anti-i8mperialismo. Quanti silenzi sulle repressioni fin dall'inizio della sinistra libica e del movimento degli studenti libici. prima di continuare vorrei trascrivere un pezzo ricevuto da Piero basso, il figlio del per me carissimo e indimenticabile Lelio Basso, che con la sua Lega Internazionale per i Diritti dei Popoli è stato antesignano sdi un interesse, che venuta meno la Guera Fredda è invece scemato nella sinistra. Piero segnala e riproduce in parte un articolo di Farid Adly un giornalista di Radio Popolare Milano, scritto per PUNTO ROSSO. Siamo in poieno ambiente di sinistra sinistra. Lerggiamo insieme, meditiamoci sopra e poi ne parliamo. confesso che in questo momento non mi sento di dare una linea e di salire in cattedra con il ditino alzato per dare lezionio a chicchessia. Dovremmo discutere di principi, ma anche di strumenti per una politica internazionale, svilita nel nostro paese dai personalismi( e dagli interessi materiali) di un Capo del Governo, che neppure capisce che è ritenuto un buffone planetario.

Libia

Mentre scrivo non possiamo prevedere cosa accadrà in Libia nei prossimi giorni, forse nelle prossime ore, e neppure sappiamo esattamente cosa sta accadendo e cosa è accaduto in queste settimane.

Farid Adly, ben noto a tutti gli ascoltatori di Radio Popolare, cittadino libico da oltre quarant’anni esule in Italia, ha scritto per Punto Rosso un articolo appassionato di cui vi propongo alcuni brani:

[Un approfondito dibattito sulla Libia sarebbe molto interessante] se non fosse in corso la tragedia di un popolo che viene ucciso ogni giorno, nelle piazze delle città libiche e nelle piazze d’affari del mondo industrializzato. […] Prima di tutto, quella in corso non è una guerra civile; lo potrà diventare in futuro, ma adesso è una resistenza popolare contro un tiranno, la sua famiglia, i miliziani e mercenari. È paragonabile alla resistenza italiana contro il fascismo mussoliniano. […] Fondare [sull’apparizione di alcune bandiere monarchiche] una critica ai giovani libici che hanno affrontato a petto nudo le mitragliatrici dei miliziani e mercenari di Gheddafi, è di una ingenerosità disarmante. Non si nega l’esistenza di piani internazionali per mettere le mani sul petrolio della Libia, ma la rivoluzione libica del 17 febbraio 2011 non è guidata da fantocci dell’imperialismo, bensì da giovani e democratici che hanno una storia nel paese. La caduta del muro della paura, dopo le esperienze di Tunisia ed Egitto, li ha portati ad alzare la testa contro la tirannia. Se non mettiamo al centro dell’attenzione questo grido di libertà, che nasce dal basso, non capiremo nulla dai moti di rivolta che stanno caratterizzando la lotta dei paesi arabi contro le cariatidi al potere da troppi anni.

La seconda questione riguarda il Gheddafi socialista. Le tesi sul cosiddetto socialismo arabo hanno imperversato negli anni Cinquanta e Sessanta, al momento del riscatto nasserian-baathista di Egitto e Iraq. Queste interessanti esperienze di borghesia nazionale del sud del mondo sono state, solo per necessità, anti-imperialiste nella prima fase del loro sviluppo. In Iraq, Egitto e Siria di quegli anni, i comunisti e i socialisti sinceri sono stati perseguitati e repressi. Quelle esperienze di colpi di stato hanno dato frutti positivi sul piano sociale, ma solo nella prima fase del loro sviluppo.

La tendenza verticistica e la mancanza di una legittimità democratica, da una parte, e l’attacco dei paesi occidentali alleati di Israele dall’altra [nel 1956 e 1967] hanno reso questi nuovi regimi delle oligarchie militari che nulla hanno a che fare con l’idea di una giusta distribuzione della ricchezza nazionale e dello sviluppo sociale e culturale dell’essere umano, base di ogni esperienza socialista.

Gheddafi arriva dopo, nel 1969. La «spinta propulsiva» del golpe militare contro il vecchio re Idriss è finita molto presto. Già nel 1973 della rivoluzione degli ufficiali liberi non c’era più nulla, se non la spietata repressione di ogni dissenso. Le forche all’Università, l’allontanamento dei compagni d’armi, la cancellazione di ogni forma d’opposizione, il divieto dei sindacati, l’annullamento di ogni azione indipendente della società civile, l’uccisione degli oppositori all’estero (l’Italia è stata un teatro prediletto per azioni terroristiche) e le operazioni militari contro civili che protestavano pacificamente contro le volontà del tiranno (tra l’altro a Derna e Bengasi negli anni ’80 e ’90), il massacro di Abu Selim (26 giugno 1996), sono esempi di questo dominio di una nuova classe dirigente che si è ridotta di fatto alla famiglia di Gheddafi e a una piccola cerchia di suoi seguaci.

La corruzione imperante e il dominio totale dei servizi segreti sulla vita quotidiana dei cittadini sono alla base di un regime che ha sperperato le ricchezze del paese non per costruire una Libia moderna, capace di creare occupazione e prosperità per il popolo, ma per comperare le coscienze, conquistare l’appoggio di altri dittatori, in impossibili e perdenti guerre africane (Uganda, Ciad…) e nel lusso per i suoi figli e adepti. La Libia è un paese ricco, ma i libici sono poveri. […] Non credo che Gheddafi rappresenti una continuazione dell’esperienza non allineata di Nasser. Nasser è morto povero e suo figlio non ha ereditato nessun ruolo politico. Qui invece abbiamo la ricchezza petrolifera del paese, considerata come proprietà privata della famiglia, e il potere jamahiriano ridotto a una ridicola monarchia. Considerare Gheddafi come parte di quel mondo che si è incamminato nel solco del nobile esperimento dei «Non Allineati» è stato un errore di valutazione.


[...] Anch’io, come molti giovani libici di allora, ho occupato il Consolato libico a Milano e ho distrutto la gigantografia di re Idriss. Ma già nel 1973 l’Unione generale degli studenti libici che guidavo ha occupato l’ambasciata libica a Roma, per protesta contro l’impiccagione nell’atrio dell’Università di Bengasi (per di più senza processo) degli studenti che chiedevano libertà e rappresentanza. La sinistra libica è stata cancellata con uccisioni e detenzioni e in alcuni casi con la compravendita delle coscienze, nel più totale silenzio. È stata anche colpa nostra, perché non siamo stati capaci di comunicare e tessere relazioni e abbiamo vissuto l’azione di opposizione in forme organizzative frammentarie.

[…] Gheddafi ha sbandierato il vessillo dell’anti-imperialismo e dell’anti-colonialismo, ma sotto il tavolo ha barattato la propria salvezza personale con accordi che hanno aperto la Libia al saccheggio dei paesi ricchi. Siamo consapevoli che il petrolio fa gola a molti. E per questo siamo contrari a ogni intervento militare esterno. L’opposizione ha chiesto una «No Fly Zone» per impedire l’uso dell’aeronautica da parte del colonnello Gli uomini che formano il governo provvisorio di salute pubblica sono persone che conosco personalmente e sono serie e fidate. Non sono secessionisti né fondamentalisti. La matrice democratica che li spinge a ribellarsi al tiranno è fuori discussione. Non dar loro ascolto sarebbe un grave errore da parte della sinistra italiana e dell’Italia democratica tutta.


A seguito di questo articolo, ho chiesto a Farid due chiarimenti, sulle armi in mano agli oppositori e sul razzismo da cui non sembrano esenti le città liberate (abbiamo visto e ascoltato drammatiche testimonianze). Ecco le sue risposte:

1) Le armi. A me personalmente questa piega militare non piace affatto, ma non tocca a me dare valutazioni di principio a chi si è sollevato contro la repressione pacificamente e si è visto attaccato con artiglieria e mitragliatrici anticarro. I giovani del 17 febbraio avrebbero fatto a meno di questa svolta. Sono stati costretti dalla reazione violenta e preventiva delle forze di sicurezza di Gheddafi.

Quelle armi provengono, in un primo momento, dalle sedi delle forze di sicurezza fuggite immediatamente dopo la discesa nelle piazze della popolazione intera; poi, dopo l'attacco dei pretoriani guidati da Abdalla Sanussi (1500 uomini delle truppe scelte arrivati dal Fezzan), dallo stesso esercito libico passato alla resistenza nella battaglia per la conquista della Caserma Omar Bou Fadeel.

E' chiaro che adesso la leadership politica (Consiglio Nazionale di Transizione Libico) sta riorganizzando le forze armate e sta cercando fonti di armamento, soprattutto dall'Egitto. Loro chiedono una protezione internazionale della popolazione civile. Sono fortemente contrari all'intervento straniero.

2) La questione razzismo. E' un pericolo insito in questa situazione complicata del paese. Nel 2000 ho scritto per il Manifesto un articolo con la firma Abi Elkafi, nel quale denunciavo le forti forme di razzismo nate tra i giovani libici che vivevano di stenti, mentre vedevano affaristi stranieri (arabi e africani) godersi la vita nei migliori alberghi. [Anche i più modesti lavoratori stranieri sono considerati privilegiati, potendo cambiare l’80% del loro salario in dollari al cambio ufficiale e rivenderli poi al mercato nero a un tasso dieci volte superiore].

Nel 2000 contro i giovani africani e arabi a Tripoli c'è stata una rivolta con assassinii e caccia allo straniero. Di quella rivolta nessuno ha parlato e il regime per mettere una pezza ha fatto incetta di lavoratori stranieri senza permesso e li ha caricati su aerei cargo verso i loro paesi d'origine.

Poi ci sono stati gli accordi dei lager nel deserto per gli emigranti respinti dall'Italia. E il comportamento scandaloso dei poliziotti libici nei confronti dei poveri disperati è noto.

Quello che è successo oggi va nello stesso solco. Il regime ha utilizzato mercenari di diverse nazioni africane (Ciad, Sudan, Nigeria, Niger, Benin e Mali) e arabe (tunisini, sahrawi e algerini). Hanno compiuto massacri contro i funerali di Bengasi, venerdì 18 Febbraio. Questo è un dato documentato e ci sono circa trenta mercenari arrestati che verranno processati e la loro documentazione presentata ad eventuali corti internazionali. La reazione generale dopo la caduta del regime è stata quella di vendicarsi di tutti gli stranieri di quelle nazioni. Non ci sono stati infatti violenze contro cinesi, filippini, coreani o bengalesi. E' una reazione sbagliatissima e da condannare fermamente. Appena formato il Comitato di gestione al Tribunale di Bengasi, infatti, una delle prime direttive è stata proprio quella di garantire la sicurezza di tutti gli stranieri non armati. Sono stati formati dei gruppi di giovani che sorvegliavano i cantieri di lavoro dove risiedono i lavoratori stranieri e portare loro cibo e acqua. Queste informazioni le ho per conoscenza diretta da più voci.

Per rendere più normalizzata questa situazione di odio che il regime è riuscito ad instillare negli animi ci vorranno tempi lunghi, ma credo che le basi giuste siano state poste da chi sta guidando questo processo difficilissimo

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