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Messaggio Da Admin Gio Nov 11, 2010 7:13 pm

L’abc della riforma Gelmini

La riforma della scuola e dell’università voluta dal Ministro Gelmini (e dal Ministro Tremonti) si presenta come un disegno di cambiamento radicale dell’istruzione e della ricerca in Italia. Alcune delle parole d’ordine che hanno scandito i proclami del Ministro sono state: innovazione e quindi “Inglese, Informatica e Impresa”, più lingue straniere e meritocrazia, “largo ai giovani”… Andando a verificare la loro traduzione pratica ci si accorge di due cose.
Innanzitutto spesso a questi proclami non corrispondono affatto azioni concrete – è il caso per esempio delle ore di matematica e informatica ridotte a causa dei tagli del monte ore complessivo, o dell’eliminazione della seconda lingua straniera alle medie.
In secondo luogo, laddove questi principi trovano una traduzione reale, disegnano un modello di formazione che è il riflesso di una visione ben precisa della società: la scuola rinuncia a essere motore di mobilità sociale, per esempio per effetto dell’abbassamento dell’età a cui le scelte dei percorsi formativi diventano definitive.
Cosa fa questo governo per la formazione e la ricerca?

Innanzitutto le lascia senza soldi, tagliando fondi (e posti di lavoro!), e quindi disinvestendo dalla formazione dei cittadini.

Questi tagli sono una risposta al periodo di crisi economica o si tratta invece di una scelta politica ben precisa?

Noi crediamo che non sia la necessità a guidare le scelte del governo, ma che invece questo segua un disegno, in cui la scuola e l’università pubbliche perdono le loro funzioni di motore di innovazione, di sviluppo economico, di mobilità sociale, di redistribuzione della ricchezza, di produzione e diffusione di conoscenza, di formazione di soggetti “forti” sul mercato del lavoro…
Ma andiamo con ordine.

I tagli
Partiamo dalla scuola: quali sono i canali di finanziamento del sistema scolastico? Innanzitutto gli stipendi del personale docente e non: qui si prevede una riduzione rispetto
all’anno scorso di 67.000 posti di docenti e di 30.000 posti di personale ATA (tra pensionamenti non rimpiazzati e lavoratori precari lasciati senza posto). Esiste inoltre un fondo direttamente destinato alle scuole, la cui erogazione è ormai sistematicamente in ritardo. Il finanziamento invece del materiale e degli investimenti strutturali (l’edilizia innanzitutto) dipende dagli enti locali, che sono sempre più a corto di soldi, a causa di altre scelte di questo governo.
Che quadro ne emerge?
La scuola del “meno”: meno docenti e personale ausiliario, mentre il numero di alunni cresce sempre di più, meno laboratori, nessuna compresenza e quindi meno tempo per recuperare i deficit degli alunni più deboli. Meno personale significa classi più numerose e meno ore di lezione (anche per quelle lingue straniere che vengono invece portate come cavallo di battaglia!). Questo è palese nella scuola media, dove si riduce drasticamente il monte ore per il tempo prolungato, che garantiva prima di tutto uno spazio di recupero per i ragazzi con famiglie più in difficoltà nel seguire i figli nei compiti a casa (nelle classi con tempo prolungato, ad esempio le ore settimanali previste per l’italiano scendono da 15 a 9 e per l’inglese da 5 a 3).
Meno tempo passato a scuola va innanzitutto a discapito della formazione dei ragazzi e delle ragazze e della loro socialità con i compagni, ma pesa anche sul bilancio familiare: ci si troverà costretti a pagare una baby-sitter o a iscrivere i propri figli ad attività extra-scolastiche private. Ma non tutti possono permetterselo.
La scuola italiana scarseggia non solo di risorse umane: è ormai esperienza comune tra i genitori quella di mettere nello zaino dei figli una saponetta, un rotolo di carta igienica, una risma di carta perché la scuola non ha più soldi per questi acquisti…
E all’Università?
Anche le Università si trovano a fare i conti per sopravvivere, a partire dal taglio del Fondo di Finanziamento Ordinario già previsto Finanziaria del 2009 (meno 20% in 3 anni), che significa riduzione di fondi per il funzionamento generale dell’Università, dai professori e ricercatori, alla manutenzione delle strutture.
Un altro versante è quello del diritto allo studio: già dal 2009 si è cominciato a togliere soldi per i posti letto nei collegi e le borse di studio (-60% nel 2010 e ancora altri tagli previsti nel 2011). A questo si aggiunga che l’E.DI.SU (l’ente regionale per il diritto allo studio) da quest’anno si troverà, grazie ai tagli del governo e della giunta Cota, a erogare sempre meno servizi e meno borse.
Per “risparmiare” sul costo del lavoro, all’università è stato limitato il turn-over, ovvero la possibilità per i giovani di subentrare a chi va in pensione: oltre a bloccare le prospettive professionali per chi ha scelto la strada della ricerca, è una bella presa in giro da parte di un Ministro che sostiene di promuovere i giovani…
Non solo tagli…
Se già la forte riduzione delle risorse dà una forma all’istruzione e alla ricerca di domani, altri provvedimenti confermano questa direzione.
La riforma è anche l’organizzazione di percorsi delle scuole superiori che rendono sempre più vincolanti le scelte iniziali, che -ricordiamo- sono compiute a 14 anni, molte volte dai genitori, e spesso sono scelte di necessità. La possibilità di passaggio da un indirizzo all’altro sono ulteriormente ridotte da une precoce specializzazione, impedendo di fatto l’accesso all’università per chiunque abbia scelto a 14 anni un percorso che non sia quello del liceo. Un esempio eloquente: il numero di ore di italiano si riduce drasticamente negli istituti tecnici e professionali, rendendo più difficile il passaggio all’università di chi proviene da queste scuole.
E poi le politiche del lavoro dentro scuola e università, che creano generazioni intere di precari (cioè lavoratori senza ferie, malattia, maternità, liquidazione…) senza prospettive di stabilizzazione. All’Università, si propone la cancellazione della figura del ricercatore a tempo indeterminato che verrà sostituito da un contratto a tempo determinato (non accompagnato da un investimento per fare in modo che si possa bandire un concorso da professore allo scadere del contratto, come invece avviene nei Paesi anglosassoni). Anziché rendere più stabili e dignitose le condizioni di lavoro dei precari, si introduce un altro contratto insicuro, in un’università che già attinge a piene mani al lavoro di persone con contratti brevi, sottopagate, o che svolgono compiti che vanno ben al di là di quanto previsto dai loro contratti.
Nel discorso del governo, queste scelte andranno a beneficio degli studenti. Noi non lo crediamo: non esiste contraddizione tra migliori condizioni di lavoro per chi insegna e migliori condizioni di apprendimento per chi studia, anzi… Il miglioramento del nostro sistema formativo passa prima di tutto da una rivalutazione del lavoro degli insegnanti, a tutti i livelli dell’istruzione.

La fabbrica di Nichi per una scuola e un’università migliori
Un progetto si costruisce a partire dalla condivisione con chi vive la difficoltà della scuola sulla propria pelle: insegnanti, studenti, ricercatori, precari, personale amministrativo, genitori. Da queste persone, dalle loro competenze e dalle loro esperienze vogliamo partire.
Abbiamo poi bisogno di più trasparenza e meno “sparate” di propaganda: proprio in questi giorni il ministro Gelmini promuove un decreto “salvaprecari” per 9000 posti all’Università. Però è falso! Non si tratta di assunzione di precari, ma di apertura di posti da professore per coloro che oggi sono ricercatori (e che non risolverebbe comunque il problema delle condizioni di lavoro dei ricercatori stessi).

Il lavoro nell’insegnamento e nella ricerca (come dappertutto) deve essere riconosciuto e adeguatamente remunerato: non è accettabile, come avviene all’Università, che si propongano contratti di didattica non retribuiti.
Oggi in Italia ci possiamo scordare che chiunque possa “avere il figlio dottore”. Questo è però quello che noi pensiamo sia l’obiettivo che un Paese civile deve perseguire, perché la scuola è il principale strumento di mobilità sociale, per non condannare le persone a percorsi di vita e professionali determinati dalle loro condizioni di partenza. Chi più della scuola può (e deve!) fornire opportunità di cambiamento a chi parte da una situazione di povertà o di esclusione? Anche per questo, il tempo che i ragazzi e le ragazze passano a scuola non deve essere tagliato!

Non solo: viviamo un momento di crisi economica che di tutto ha bisogno fuorché di tagli a istruzione e ricerca, che sono le basi dello sviluppo economico e delle possibilità di ripresa. Questa crisi ha messo in luce le enormi diseguaglianze che attraversano la nostra società: la scuola e la garanzia di efficaci sistemi di diritto allo studio sono strumenti chiave per rendere più equa la distribuzione del reddito.

Noi vogliamo pensare una scuola e un’università migliori, non limitarci a difendere le cose come erano ieri. Il servizio pubblico deve essere efficiente e la formazione di qualità. Questo si fa anche attraverso un serio investimento in valutazione della formazione. Ma bisogna metterci i soldi! E intanto fermare la demolizione della scuola e dell’università pubbliche.
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